C’è un intero filone cinematografico, soprattutto nel cinema americano, che racconta le vicende di personaggi con deficit acquisiti: è l’insieme dei film sui reduci di guerra. Questo filone s’ingrossa, ovviamente, ad ogni dopoguerra: dopo la prima guerra mondiale, dopo la seconda, dopo la guerra del Vietnam … Questi film sono, in genere, imperniati su un duplice conflitto: un conflitto interiore, psicologico, e un conflitto esterno, sociale. Il conflitto interiore, vissuto dai protagonisti di questi film, è tra la loro identità (costruita sull’essere sani, forti e – spesso - spavaldi) e la loro nuova condizione, “indebolita” da una disabilità fisica.
Fino agli anni cinquanta, tuttavia, questa conflittualità doveva essere riassorbita e superata tutta e solo dal protagonista. Costui doveva riuscire ad accettare la propria disabilità, mettere da parte un po’ della propria orgogliosa indipendenza e accettare di dover farsi aiutare. Gli altri (i parenti, la fidanzata, gli amici, tutta la società circostante) facevano poco più che consolare e attendere pazientemente il superamento dello shock e la “riabilitazione” del reduce disabile. Da questi film emerge una concezione della disabilità che possiamo considerare puramente riabilitativa.
Soltanto a partire dai film post-Vietnam l’approccio cambia. Il conflitto interiore resta, rimane lo sforzo per ridefinire la propria identità. Ma non è più solo il reduce a doversi riadattare. Il sessantotto non è passato invano. Questi film sono permeati da uno spirito contestatario. Il reduce disabile rappresenta una spina nel fianco della società, che costringe tutti a interrogarsi sui propri valori di fondo. Alcuno esempi li possiamo trovare in “Tornando a casa”, in uno dei personaggi secondari di Forrest Gump (1994) di Robert Zemeckis, oppure nel Film di Oliver Stone, con Tom Cruise, Nato il 4 luglio.
Ron Kovic, nato il quattro di luglio, giorno dell'Indipendenza americana, in un piccolo centro presso New York, da una famiglia cattolica e tradizionalista, è stato educato all'agonismo e a credere negli ideali dell'americano medio. Nel 1967, raggiunta l'età necessaria, il ragazzo lascia la sua fidanzata Donna e parte volontario per il Vietnam, convinto di andare a difendere la patria e la civiltà contro il comunismo. A Ron, un marine che subito si trova scaraventato all'inferno, in un paese incomprensibile, in una guerra crudele in cui vede ammazzare donne e bambini innocenti, accade di uccidere per errore il suo commilitone Wilson. Poi, nel 1968, la catastrofe: ferito gravemente alla spina dorsale, rimane paralizzato dalla vita in giù, perdendo così l'uso delle gambe, la possibilità di avere figli e rapporti sessuali. Appresa chiaramente la sua situazione dai medici militari, Ron trascorre un lungo e difficile periodo di convalescenza in uno squallido ospedale, affidato ad infermieri brutali, soffrendo molto, ma imparando a vivere come un paraplegico e a muoversi su una sedia a rotelle. La sua riabilitazione è stata dura, anche a livello emotivo.. Durante un esercizio cadde e si ruppe un femore.. rischiò di farsi amputare la gamba, e questo non lo accettava. Un infermiere gli disse: “A cosa ti serve? Tanto sei paralizzato” e Ron gli rispose con rabbia: “È la mia gamba! Io voglio la mia gamba, ficcatelo bene in testa! Possibile che non riesci a capirlo?! Dico soltanto che voglio essere trattato come un essere umano. Io ho combattuto per il mio paese! Sono un reduce del Vietnam! Ho combattuto per il mio paese!”.
Riportato in patria, scopre quanto durante la sua assenza sia cambiata la situazione: ora per molti la sua sola presenza è scomoda e lui non può vantarsi di essersi sacrificato per gli USA. Sconvolto e umiliato, Ron torna infine in famiglia, dove viene accolto con affetto, anche se non mancano i problemi.. Ha una discussione col fratello per uno scontro di ideali. Non crede nella guerra, sta dalla parte dei dimostranti che manifestano contro il paese perché non vogliono che i loro ragazzi tornino come Ron. “Ronny tu hai servito il paese, ma cosa ci hai guadagnato? Guardati”. Ma Ron gli risponde che lui lo ha scelto, è partito come volontario, perché “il tuo paese o lo ami o te ne vai”. Ma vedremo come cambierà la sua idea.. Arriva il giorno del suo compleanno, il giorno dell’indipendenza, e durante una manifestazione della sua città parlerà in pubblico della guerra e onorando il suo paese: “Ho servito il mio paese e non voglio che vi sentiate dispiaciuti per me. Non versate lacrime. Ho le mie mani, i miei occhi, le mie orecchie, ho il mio cuore.. e ho quello che sento.. ossia un’insaziabile…” ..senso di colpa.. per questo interrompe il suo discorso.. ha il senso di colpa per aver ucciso accidentalmente il suo compagno di armi.. e per lui la sua situazione è come una condanna per il peccato commesso.. “Quando ero in ospedale pensavo che tutto questo ha un senso.. perché io ho sbagliato, perché ho ucciso qualcuno, delle persone, ho fatto degli sbagli terribili. Credi che importi a qualcuno se sono stato un eroe! Quel giorno sono rimasto paralizzato, e per cosa? Sono stato così stupido! Adesso penso che rinuncerei a tutto quello in cui credo, a tutto quello che ho, a tutti i miei valori per riavere di nuovo il mio corpo, pur di essere di nuovo tutto intero. Ma non sono intero. Non lo sarò mai più, e questa è la realtà, vero?” “In nome di Dio, Ronny” gli risponde l’amico Timmy “è il tuo compleanno. Sei vivo. Ce l’hai fatta. Sorridi”.
Dopo un lungo periodo di amarezza e umiliazioni, in cui si lascia andare e incontra anche una prostituta, specializzata in reduci mutilati come lui, si ubriaca spesso e giunge al massimo abbattimento. Ron incontra di nuovo Donna, che ora svolge con entusiasmo attività di propaganda per il pacifismo. Convinto dal suo esempio, Ron, dopo essersi recato dai genitori di Wilson e aver chiesto il loro perdono, si dedica con impegno all'attività pacifista, divenendo un leader del movimento, e trovando così un valido scopo alla sua vita. Nel 1976 sfila nel grande corteo annuale del 4 luglio, quindi si presenta sul palco e parla alla folla, composta in gran parte di giovani, affermando che la guerra è sempre un male.