Art - Handicap - Art
di Sibilla Hellrigl
L’immagine della disabilità nell’arte:
un breve itinerario storico.
Un corpo sano (quindi
perfetto) in mente sana
è fin dall’antichità prerogativa
dei canoni di estetica
e di conseguenza un
corpo “non sano” implica
una mente non sana.
Un’eccezione sono le
antiche statue corrose dal
tempo, deformate nella
loro estetica, ma che vengono
comunque accettate
dallo spettatore come
ideali di una corporeità
perfetta. Nessuno spettatore
può guardare
un’opera del tutto oggettivamente
dimenticando
le proprie esperienze e la
propria mentalità dettate dall’epoca in cui vive.
L’arte realistica ha sempre compreso nella sua
iconografia rappresentazioni dell’immagine umana
deformata fisicamente o psichicamente. Senza
intenzioni diagnostiche artisti più grandi hanno
incluso immagini di persone con tratti deformati
e tra questi si possono elencare Bosch, Bruegel
il Vecchio, Holbein, Dürer, Velázquez, Botticelli,
i fratelli Caracci, Messerschmit, Caravaggio,
Hogarth, Goya, Gericault, Wiertz, Van Gogh,
Munch, Ernst, Dix e Bacon.
Sia nella mitologia che nell’arte le deformazioni
descritte e rappresentate non sono immaginarie,
ma derivazioni di patologie, come dimostrano
diversi studi. Lo scopo di queste rappresentazioni
cambia con le epoche: nell’antichità
figure con deformità fisiche, ad esempio nani,
erano divinità protettive o di fertilità. Le più antiche
immagini risalgono all’epoca egizia, intorno
al 2400 a.C., come testimonia un ritrovamento
nella necropoli di Saqqara dove è stata rinvenuta
la statuetta di un gobbo, probabilmente un amuleto
portafortuna. Lo scopo della rappresentazione
del nano Seneb del 2500 a.C. con la sua famiglia
è un mistero, ma fa dedurre che fosse bene
integrato nella vita sociale sia perché il popolo
comune non poteva permettersi di farsi ritrarre,
sia perché la moglie, raffigurata al suo fianco,
presenta delle proporzioni normali. La condodystrofia
si ritrova in diverse rappresentazioni di
divinità egizie. La stele del XIV sec. a.C. dell’epoca
di Amenophis III raffigura Ruma, il guardiano
della dea Astarte, che assieme alla sua famiglia
presenta dei doni. Dalla raffigurazione e
dai ritrovamenti di mummie si può dedurre che
il guardiano fosse paralitico ad una gamba in
seguito ad un’infezione di poliomielite. Questa
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immagine rara si dimostra
straordinaria poiché
gli artigiani egizi
addetti alla pittura erano
tenuti a rappresentazioni
con canoni stilistici
prestabiliti. Inoltre
testimonia che le menomazioni
mentali o fisiche
nella cultura egizia
non erano considerate
come difetto, anzi le
persone con handicap,
sulla base di interpretazioni
mitologiche o religiose,
riuscivano a
raggiungere anche uno
stato sociale molto elevato.
Nonostante la mitologia
greca e romana
abbondasse di personaggi
con deformazioni,
nei testi d’arte le testimonianze
sono rare.
Sia in Grecia che nella
Roma antica la società
era basata soprattutto sull’esercito, composta quindi
da persone “integre”. Alle persone con handicap
sopravvissute era assegnato l’artigianato e
poiché era usanza comune lavorare seduti, le immagini
a noi pervenute non evidenziano l’handicap.
Una delle poche rappresentazioni conservate
è un mendicante gobbo, ma ignoto ne rimane il
retroscena. Con la divulgazione del Cristianesimo
appaiono immagini che dovevano servire a
predicare il Vangelo alla gente semplice. Nell’era
carolingia e ottomana troviamo diverse testimonianze
in cui personaggi con handicap sono inclusi
nelle storie che raccontano i miracoli e le
parabole del Vangelo come ad es. il miracolo del
cieco, del muto o del paralitico. Sono illustrazioni
che assumono efficacia per il linguaggio gestuale
e si avvicinano al popolo, perché riprendono gli
aspetti più marginali della società. I miracoli rimangono
la tematica prediletta della Chiesa in tutte
le epoche per predicare il Vangelo per immagini.
Una delle rare immagini avulse dal contesto
religioso la troviamo nel codice Sachsenspiegel
del 1375 in cui vengono presentate diverse tipologie
di handicap: un lebbroso, un muto, un cieco e
un amputato agli arti. Si può presumere che la
motivazione di questa illustrazione sia soddisfare
il senso di curiosità e illustrare i soggetti esclusi
dalla società e quindi dipendenti dall’elemosina.
Nelle rappresentazioni religiose il mendicante
disabile, quasi sempre presente, non è mai la
figura principale ma è solo aggettivo per sottolineare
maggiormente la grandezza del personaggio
rilevante. Questo effetto viene aumentato dalle
proporzioni piccole in confronto al santo e dalla
diagonale che si sviluppa dal basso, dal mendicante,
in alto verso il santo. In quasi tutte le immagini
si può notare un contatto superficiale nei
confronti del mendicante con handicap, poiché
non esiste né contatto fisico né contatto visivo.
Nonostante fosse descritto un miracolo, questo
era rappresentato sempre all’esterno di un’architettura
ecclesiastica, e la figura del santo fungeva
da barriera tra esterno e interno della
chiesa. Un’immagine esemplare è il
“Miracolo di S. Pietro” di Masolino.
La diagonale, formata dai mendicanti
al lato della strada, punta verso il santo,
monumentalizzando la sua figura.
San Pietro prosegue imperterrito
la sua strada senza neppure sfiorare
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50. Pieter Bruegel il Vecchio, La caduta dei
ciechi.
51. Nano Seneb con Famiglia, Egitto 2500 a.C.
52. Gobbo, necropoli di Saqquarra, Egitto
1500 a.C.
53. La guarigione del cieco, Codice Egnerti
980 d.C. circa.
54. L’appestato, il sordomuto, il cieco,
l’amputato, miniatura in “Sachsenspiegel”,
1375.
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con lo sguardo le persone che si aspettano un suo
miracolo.
Altra tematica dell’iconografia religiosa è l’incombenza
della morte in rapporto alla persona
con handicap. L’affresco “Il trionfo della morte”
di Francesco Traini (1321-1365) nel Campo Santo
a Pisa è sicuramente attinente con gli episodi dell’epidemia
di peste e di lebbra di quel periodo.
Ciò non toglie che Traini inserisca mendicanti
con handicap in diretto rapporto con la morte,
suggerendo che la morte è la salvezza dei più
“disgraziati”, evidenziando così il
pensiero latente di eutanasia nella
società nei confronti delle persone
“diverse”.
Il rinascimento cambia la visuale
del mondo e pone al centro
l’uomo; questo cambia il modo
di rappresentarlo nell’arte. Il senso
di “estetica” cambia e comincia
ad avere un fondarsi sulla perfezione
anatomica rafforzata dagli
studi di anatomia e di fisiognomica
di Leonardo. Alle opere
commissionate dalla chiesa con
motivi esclusivamente religiosi e
educativi si affiancano opere con
tematiche profane. Ora le persone
non vengono più rappresentate
solo per motivi didattici ma anche
per descrivere i diversi aspetti
del carattere dell’uomo e per critiche
indirette alla società e alla
chiesa.
Hyeronimus Bosch usa la rappresentazione
della “Nave dei folli”
per criticare usi e costumi del
clero. Era una prassi molto comune raccogliere persone
non desiderate, imbarcarle su delle navi e abbandonarle
su isole deserte. Bosch imbarca personaggi
di alto rango e rappresentanti del clero, persone
che decidevano sulla sorte dei più disgraziati,
e sottolinea il loro carattere con deformazioni fisiche.
Nella “Salita al calvario” circonda Cristo e
S.Veronica con personaggi inquietanti. Ripete le deformazioni
fisionomiche per sottolineare
il carattere malvagio di ogni
personaggio. Probabilmente si ispira
agli studi di Leonardo o forse
anche ad una vecchia tradizione
tedesca in cui usavano rappresentare
gli aguzzini di Cristo in modo
malvagio per aumentare la drammaticità
dell’evento e sottolineare l’innocenza
dei protagonisti. Bosch
aveva grande talento nel descrivere,
e molte malformazioni da lui
rappresentate derivavano da malattie,
da eventi di vita od erano congenite.
Il suo interesse era rivolto
anche alle varie forme di amputazione
dovute all’ergotismo, malattia
diffusissima per l’intossicazione
da grano deteriorato, comunemente
conosciuto come “Fuoco di
S. Antonio”. Nei suoi disegni studia
le molte varietà di protesi in
sostituzione all’arto amputato e le
conseguenti possibilità di movimento.
Non sono comunque studi
dovuti ad un interesse umano per
la situazione dei più poveri ma si serviva di queste
figure per rappresentare la parte più oscura dell’uomo.
L’esito finale di questi studi sono le sue figure
di mostri.
Un’eccezione è Pieter Bruegel
il Vecchio, che nasce intorno al
1525, non dipinge scene che abbiano
per tema principale gli
eventi religiosi, neppure ritratti di
personaggi importanti e non si
attiene al senso dell’estetica che
comincia a diffondersi nel 1500.
La sua tematica principale è la
vita contadina collocata nel paesaggio
naturale. La sua raffigurazione
di metafore e proverbi olandesi
accenna sia alla critica politica
che a quella sociale. In questo
contesto inserisce diverse volte
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56 55. Hyeronimus Bosch, Salita al calvario.
56. Hyeronimus Bosch, La nave dei folli.
storiae31
persone con handicap fisico. Il “Combattimento
fra carnevale e quaresima” è una scena di vita
quotidiana (“Strassenbild”) della quale fanno naturalmente
parte anche dei mendicanti storpi.
Sono inseriti nel paesaggio stradale come qualsiasi
altro elemento e sono metafora di un aspetto
umano: senza gambe si è costretti a muoversi a
quattro “gambe” e quindi si diventa anello di congiunzione
tra l’essere animale e l’essere umano.
Nel dipinto “Gli storpi” del 1568, Bruegel li raffigura
isolati da un muro, in primo piano e ognuno
con un copricapo diverso: un vecchio proverbio
olandese dice che le bugie camminano con le
stampelle (le bugie hanno le gambe corte!) , quindi
che le persone di alto o basso rango sono tutte
egualmente ipocrite. A Bruegel non importava dipingere
lo storpio di per sé come individuo unico,
ma come rappresentante di un gruppo sociale
amareggiato e rabbioso per un bagaglio di esperienze
negative dovute ad una società senza comprensione.
Nel dipinto “ La parabola dei ciechi”
del 1568 riprende il tema dei proverbi: se dei ciechi
si fanno guidare da un cieco immancabilmente
vanno a finire tutti nel fosso. L’attenzione del dipinto
è rivolta al movimento di caduta dei personaggi
che sono raffigurati senza pathos, ma piuttosto
ironicamente. Nonostante questo però, per
la prima volta viene concesso a delle persone con
un deficit fisico un proprio agire. Il secondo cieco
accorgendosi della caduta del primo sembra
avvertire i personaggi in seguito; il terzo è in atteggiamento
di titubanza, di arresto. Straordinario
è lo studio della cecità rappresentato in vari
modi: dal dipinto è possibile diagnosticare tutt’oggi
la causa della menomazione. [...]
La collezione delle curiosità a Schloss Ambrass
a Innsbruck contiene quadri di un pittore anonimo
della Corte di Baviera che per il modo di rappresentazione,
si possono definire letteralmente
scioccanti. Il quadro di uno scrivano di corte paralitico
sconcerta per il modo in cui è stato ritratto:
il soggetto è rappresentato nudo (cosa assolutamente
non usuale in quel periodo) disteso su
un tavolo per evidenziare le deformazioni causate
da una probabile poliomielite.
La violenza che la persona ha subìto nell’essere
dipinta, traspare dal suo sguardo pieno di
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57. Hyeronimus Bosch, Studi di protesi.
58. Pieter Bruegel il Vecchio, Combattimento tra carnevale e quaresima.
59. Pieter Bruegel il Vecchio, Gli storpi.
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odio indirizzato al pittore ed è paragonabile alle
prime fotografie del 1900 scattate a degli indigeni
americani, costretti con il viso verso l’obiettivo
e ripresi come un trofeo di caccia. Unico particolare
che restituisce un briciolo di dignità allo
scrivano è il collare bianco, caratteristica di chi
viveva alle corti. Tenere dei nani e persone con
lieve handicap mentale come buffoni di corte era
un uso molto comune in tutta l’Europa. Lo testimoniano
i dipinti di Veronese e Tiepolo in cui
sono raffigurate persone nane non per se stesse o
per introspezione umana, ma unicamente per sottolineare
la ricchezza e la brillantezza dei personaggi
committenti.
Radicalmente diversi sono i dipinti di Diego
Velázquez: i suoi ritratti di nani e buffoni (1637-
1645) sono uno studio accurato e sensibile della
condizione umana di queste persone che erano lo
zimbello di tutti. Velázquez dipinge i suoi personaggi
in primo piano, collocati in un mondo ristretto,
delineato dal formato della tela rettangolare.
In modo eccellente riesce a caratterizzare ogni
individuo senza farsi coinvolgere emotivamente,
senza commiserazione e ironia, ma ponendoli in
una luce di umanità stoica. Lo sguardo acuto dei
personaggi che Velázquez riproduce in queste tele
fa dedurre che, nonostante il loro deficit, percepiscano
meglio di qualsiasi altro ogni retorica convenzionale
di una società presuntuosa. Velázquez
li innalza allo stesso livello dei filosofi che dipinge
negli anni dal 1637 al 1641.
Nel barocco, con l’affermarsi della borghesia,
ai dipinti con motivi religiosi o mitici si affiancano
anche le pitture di genere. Sono quadri che
raffigurano in modo reale e crudo scene popolane
e che erano molto ricercati perché rassicuravano
la gente benestante. Il dipinto di Ribera
“Ragazzo con piede torto “del 1642 su commissione
del principe Stigliano di Napoli ne è uno
degli esempi. La luce cade sul viso ridente del
ragazzino, di sfuggita sulla mano ritorta e sulla
mano con il foglio di richiesta per l’elemosina e
infine sulla malformazione del piede aumentando
di intensità. Non si nota una sensibilità umana
da parte del pittore verso il ragazzino, ma solo
pietà superficiale mista a curiosità morbosa.
Nel 1794 Pinel assume la direzione dell’Ospedale
“La Salpetrière” e scrive “Il trattato
della mania” in cui descrive le manie come
malattia e non come comportamento vizioso.
A Géricault che frequenta l’ospedale, intorno
al 1822, per studiare vari stadi di agonia dal
vero, viene chiesto da Georget, medico che si
interessa delle manie a sfondo criminale, di ritrarre
diversi monomaniaci. Nei dipinti di Géricault
si denota un grande interesse personale,
probabilmente dovuto a delle esperienze dirette
e indirette. I suoi ritratti non sono solo descrizioni
cliniche fisiognomiche e patologiche,
ma rispettano le varie individualità evidenziando
anche le cause della malattia. I dipinti di Gericault
confrontano
lo
spettatore
in modo diretto
con le
proprie paure:
la follia
non è un
problema
per il folle
perché non
ne è cosciente,
ma
lo è per chi
non ne è direttamente
coinvolto
perché è un
pericolo incombente
all’orizzonte.
Gericault
presenta anche
una grande
sensibilità
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60. Diego Velàzquez, Don Sebastiano de la Morra.
61. Jusepe de Ribera, Ragazzo con piede torto.
62. Theodore Gericault, Monomaniaca.
63. Georg. Grosz, La Vergogna.
64. Francis. Bacon, Autoritratto.
storiae33
per la situazione sociale dei bassifondi di Londra che
descrive in tre litografie del 1821. In queste tre litografie
“Mendicante davanti al panettiere”, “Donna
paralitica”, “Il suonatore di cornamusa” evidenzia
che la miseria e la sofferenza non dipendono né dai
gesti, né dalla mimica, né dallo spettacolo ma unicamente
da situazioni normali.
Con la fine dell’Ottocento il senso estetico nelle
rappresentazioni figurative ha subito un radicale
cambiamento dovuto ad una nuova concezione
di vita. Con la prima guerra mondiale nell’arte
le persone con deformazioni vengono sostituite
da persone invalidate dagli eventi della
guerra, ma sono comunque rare.
Caricature e opere rappresentanti persone con
handicap vengono usate da persone “normodotate”
per denunciare una situazione sociale e politica
insostenibile, come ad esempio nei disegni
e dipinti di Otto Dix e Grosz; contemporaneamente
sono indice di un malessere comune e anche
personale come nei dipinti di Beckmann.
Un capitolo a sé sono le rappresentazioni di
deformazioni immaginarie negli autoritratti che
risultano profetiche. Un caso singolare è l’autoritratto
di Victor Brauner del 1931 in cui si ritrae
con un occhio strappato, una mutilazione realmente
subita otto anni dopo l’esecuzione del dipinto.
Modigliani nel suo autoritratto del 1919 si dipinge
con le guance infossate, lo sguardo svuotato
delle pupille, senza speranza, rivolto verso lo
specchio e contemporaneamente verso lo spettatore.
Pochi mesi dopo muore! In Bacon le deformazioni
di ritratti e figure, sintesi di stadi diversi
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di movimento, non sono dimostrazione di un dramma,
ma risultato spaventoso di una diagnosi della
realtà resa visibile. Bacon non intende moralizzare
ma evidenziare la condizione umana e la presenza
costante della morte.
Le paure che prendono forma nei suoi dipinti
sono le nostre paure, ma anche la paura specifica
del pittore.