Se volessimo usare un’espressione più ampia, potremmo affermare che educare in carcere significa educare alla libertà: a riconquistarla, a viverla in modo proficuo per sé e per gli altri. Educare alla libertà significa insegnare a vivere il quotidiano, favorire la crescita, spingere il minore ad assumersi le responsabilità delle scelte che compie e delle conseguenze che queste comportano.E’ fondamentale, quindi, perché si possa compiere un reale percorso di cambiamento e si educhi alla libertà, lavorare con i ragazzi e non sui ragazzi, cioè costruire non progetti su di loro, ma con loro, tenendo conto delle reali caratteristiche e delle reali possibilità del minore, delle sue reali capacità, delle sue debolezze, dei suoi sogni. E’ necessario, inoltre, costruire progetti che aprano al futuro e che diano prospettive oltre al carcere, che abbiano concrete e reali possibilità di successo. Infine, attraverso la relazione educativa in carcere e sfruttando le attività che nel minorile a Milano si possono svolgere, è importante che al ragazzo siano fornite competenze, personali e sociali, spendibili soprattutto quando sarà all’esterno.
È chiaro che questo percorso di educazione è molto lungo e dipende da numerose variabili che devono essere prese in considerazione. Credo non si debba dimenticare che il carcere è un’istituzione totale e che quindi si educa in un contesto che non è quello della vita reale. In carcere l’educatore spinge il minore a compiere scelte, ma sempre si deve considerare che in questa struttura, che ha tempi, luoghi, ritmi e spazi che solo qui esistono e che fuori, in un contesto di vita normale, non trovano spazio, le possibilità di scelta e di messa in atto delle scelte sono estremamente ridotte.. Banalmente, il minore non può decidere quando mangiare, quando fare attività, quando dormire e stare sveglio, quando comprare qualcosa e che cosa comprare. Anche le sue facoltà di scelta rispetto alle attività sono piuttosto ridotte.
Quindi, si può affermare che la sua capacità decisionale e la possibilità di scelta sono minime, per lo più "ragionate" e proiettate sulla vita che riprenderà a fare quando uscirà dal carcere, protratte verso il futuro, ma, purtroppo, poco sperimentabili durante la detenzione e, in particolare, durante il primo periodo di questa.. In sostanza, in carcere, manca qualsiasi possibilità di autonomia, attraverso la quale si potrebbe verificare se le regole siano diventate patrimonio della persona e se questa sia in grado di operare una scelta tra il rispetto o la violazione delle norme, assumendosi la responsabilità delle scelte e delle loro conseguenze. Al reo, anche minore, una volta ottenuta la condanna, si chiede di cambiare, di imparare e agli operatori che lavorano in carcere si chiede di aiutare l’utente e di affiancarlo nel percorso di cambiamento, ma, di fatto e nella realtà, lo si costringe, spesso, all’inattività e all’irreparabilità.